Le rose di Clementina:

storia  di donne che come lei hanno contribuito

alla crescita culturale e sociale dell'Italia Unita

la beneficientissima 

contessa clementina carron di briancon, l'ultima dei san tommaso:

il suo motto: amiamo dio e lasciamolo fare

 il suo unico lusso: i libri, la lana per i poveri e en piat 'd mnesta per tuti.....         

 
 
 
 
 






LA CONTESSA CLEMENTINA CARRON  DI  SAN TOMMASO DI BRIANCON

E LA PRINCIPESSA MARIA CLOTILDE DI SAVOIA:

DUE DONNE,UNA SOLA ARMA: LA CULTURA  

 
 
 
 
 
 

  Maria Clotilde di Savoia, vittima del Risorgimento nel nome di Dio

madre e figlia non avrebbero potuto essere più diverse. della vita libera di maria letizia bonaparte, insofferente a protocollo e all'immagine mansueta e sottomessa delle donne, ho già raccontato  (e mi sono molto divertita, perché una principessa come lei sarebbe stata la delizia dei magazines ancora oggi). adesso tocca a sua madre, maria clotilde di savoia, che con questa figlia indipendente e vitale convisse a lungo, nel castello di moncalieri (appena riaperto al pubblico dopo lunghi restauri).   maria clotilde è passata alla storia come la vittima sacrificale del risorgimento italiano, avendo dovuto sposare a 16 anni, lei, primogenita del re di sardegna vittorio emanuele ii  e della regina maria adelaide d'asburgo-lorena, girolamo bonaparte, nipote dell'autoproclamato imperatore dei francesi, e di vent'anni più grande, oltre che libertino e brutto. in un bell'articolo sul blog nonna nanna viene addirittura paragonata a ifigenia, l a figlia che agamennone sacrificò per propiziarsi gli dèi in vista della guerra di troia, causando poi le tragedie che sarebbero seguite al suo ritorno (chissà se a maria clotilde, colta e poliglotta, sarebbe piaciuto il paragone). lo dico: magari un po' si esagera all'esaltare il sacrificio di maria clotilde, nel nome della ragion di stato, perché quasi tutti i matrimoni regali sono stati sacrifici personali nel nome della ragion di stato: rimanendo in casa savoia, cosa dire della 13enne ludovica che sposa il 49enne zio maurizio per garantire la pace, dopo la guerra dei cognati, nel xvii secolo? o come non pensare a tutte le adolescenti finite in spose a principi e sovrani di trent'anni più anziani? insomma, maria clotilde non è stata la sola, anche se, probabilmente, ha trovato la forza di accettare il suo destino nella fede religiosa, che magari altre non hanno avuto. nata a torino nel 1843, maria clotilde manifestò sin da ragazza una profonda inclinazione religiosa, in questo aiutata anche dall'educazione impartita da sua madre maria adelaide e fu la fede ad aiutarla nei primi dolori, la morte della nonna maria teresa, con cui aveva trascorso lungo tempo nel castello di moncalieri, quella di sua madre, successiva di pochi giorni, fino alla scomparsa, nello stesso anno, il 1855, del fratellino vittorio emanuele.  orfana a 11 anni, si trovò a essere una sorta di madre  per i suoi fratelli più piccoli e a essere una sorta di first lady del regno di sardegna, avendo rifiutato il re l'idea di risposarsi (lo avrebbe fatto solo in tarda età, con l'amante di tutta una vita,  rosa vercellana, la bela rosin, con un matrimonio morganatico che piacque pochissimo). la preghiera era il suo rifugio, così come le opere di carità, a cui era abituata sin da bambina; dio era al primo posto nei suoi pensieri. e lo fu anche quando le fu annunciato che avrebbe dovuto sposare girolamo bonaparte, per garantire l'intervento della francia, accanto al regno di sardegna, nella nuova guerra contro l'austria, secondo gli accordi stretti a plombières tra camillo benso conte di cavour   primo ministro del regno e napoleone iii  in un primo tempo, vittorio emanuele ii si oppose al matrimonio della figlia prediletta con un uomo tanto più grande e di fama così pessima, poi decise di lasciare a lei la decisione. e dopo aver molto meditato, la principessa adolescente disse di sì, pensando di poter essere strumento di dio per fare del bene, magari convertendo il marito dissoluto. ovviamente non fu così. dopo le nozze, la coppia si trasferì a parigi, girolamo riprese la sua vita sfavillante tra salotti e amanti, maria clotilde si dedicò alle opere di bene e alle preghiere. come potevano funzionare due persone di indole così diversa?  non funzionarono, infatti, nonostante l'arrivo di tre figli. maria clotilde non apprezzava la frivola vita di corte, preferendo la chiesa e i malati, ma sapeva distinguersi anche per risposte taglienti e altere, che di umiltà cristiana avevano poco. come la volta in cui rimproverò l'imperatrice eugenia ricordandole che "io sono nata a corte"  o come quando, dopo la sconfitta di sedan, la corte abbandonò precipitosamente parigi  con eugenia che ricorse persino al travestimento, mentre lei, giorni dopo e con calma, attraversò la capitale con una carrozza e i finestrini abbassati perché "i savoia e la paura non si sono mai incontrati"  e, date le sue opere di carità, non solo nessuno osò farle del male, ma fu salutata con rispetto. c'è anche un passo di una sua lettera a vittorio emanuele ii, con cui mantenne un affettuoso rapporto filiale per tutta la vita e che era molto preoccupato per lei, ancora a parigi dopo la sconfitta di sedan: "non sono una principessa di casa savoia per niente!  si ricorda cosa si dice dei principi che lasciano il loro paese? partire, quando il paese è in pericolo, è il disonore e l'onta per sempre" gli scrisse, per spiegare perché non lasciava ancora la capitale francese in preda agli spiriti rivoluzionari. poco dopo la caduta dell'impero, maria clotilde decise di tornare in piemonte, con la figlia maria letizia, e si stabilì nel castello di moncalieri, dove ça va sans dire, riprese le sue opere di carità,  appoggiando il lavoro dei cosiddetti santi sociali torinesi  in favore dei ragazzi e dei più poveri - è l'epoca straordinaria di don bosco, don cottolengo, don murialdo e di clementina carron -  rivide il marito poco prima della sua morte, avvenuta a roma nel 1891, e gli sopravvisse per vent'anni, spirando in odore di santità a moncalieri, nel 1911. maria clotilde e maria letizia insieme, nel castello di moncalieri, così diverse e così coerenti con se stesse. i diversi modi di essere donna, che è bene non giudicare, che ognuna sia quello che vuole (e riesce) a essere.                       laura cardia

         

235 lettere conservate nell'archivio  storico del comune di buttigliera alta custodiscono  un legame di  profonda e sincera amicizia e comune devozione alsacro cuore  tra la contessa clementina  carron di san tommaso e la principessa  maria clotilde di savoia - primogenita di re vittorio emanuele ii e di maria adelaide - che andò sposa in francia a girolamo bonaparte, cugino di napoleone iii..... clementina rifiutò l'incarico offertole  da re vittorio emanuele  ii di fare da istitutrice alla piccola margherita di savoia  quale segno di disapprovazione del sacrificio imposto a maria clotilde per soddisfare il disegno di cavour

 
 
 

Nel 1888 la Contessa Clementina Carron  perde l'amato fratello Gerado, ormai sola,

decide di accogliere a Villa delle Rose le suore del sacre coeur 

istituendo   una scuola per le bambine e per  i poveri di Buttigliera e dintorni:

LA SUA OPERA FORMERA' INTERE GENERAZIONI 

 facendo di  villa san tommaso  un cuore pulsante di cultura ed emancipazione per l'intera valle di susa

 
 
 


La carita' un valore di Famiglia!

 
 
 
 
 
 
 
 

juliette  colbert e carlo tancredi falletti di barolo:  un mirabile esempio di fede, amore coniugale e operosità sociale. i marchesi di barolo sono stati una coppia fuori dall’ordinario: colta, cosmopolita, poliglotta, con una rete internazionale di rapporti. si incontrarono alla corte di napoleone. erano illuministi, appassionati di cultura, pedagogia, economia, arte e politica, ma nel contempo erano profondamente religiosi. appassionati di umanità: ciò che stava loro a cuore era la promozione dello sviluppo umano. hanno espresso il loro carisma rispondendo ai bisogni sociali emergenti attraverso strategie di intervento integrato, ben oltre la beneficienza, realizzando a torino e in piemonte interventi pedagogici, sociali e politici, condividendo il loro patrimonio con i più poveri.

il tragico amore di Elena Matilde Provana

luigi cibrario scrive nella "storia di torino" che elena matilde provana di druento, moglie di gerolamo gabriele falletti di barolo, marchese di castagnole, e figlia unica del bizzarro conte ottavio provana di druento, chiamato dal popolo "monsù di druent", morì suicida «nel fior degli anni addì 24 di febbraio del 1701». era nevicato, quel giorno, e anche durante la notte. si sa che alcuni passanti oppure i servitori di palazzo druento, in seguito diventato palazzo barolo e abitato da giulia colbert di barolo, nella torinese contrada delle orfane scorsero, a un' ora imprecisata, un corpo di donna precipitare da una finestra del piano nobile. raccoltae soccorsa, venne adagiata sul lastricato di pietra imbiancato e quindi portata nell' androne. si spense dopo pochi minuti. aveva appena 26 anni. si dice che da allora il fantasma della giovane, con la camicia imbrattata di sangue, si aggiri per i saloni del palazzo. una leggenda, invece, fa morire l' infelice elena matilde a barolo, nelle langhe. secondo questo racconto, si buttò una notte dalla torre più alta del castello dei falletti. così il suo spettro comparirebbe con regolarità, verso mezzanotte, nel maniero del paese, accompagnato dal rumore lieve dei suoi passi lungo le scale e sulla torre. se non sul luogo del decesso, gli storici e le voci popolari concordano tuttavia sulle ragioni che indussero al suicidio la figlia di "monsù di druent". quest' ultimo, primo scudiero di vittorio amedeo ii di savoia e coinvolto nell' intrigo tramite cui s' era scongiurato il matrimonio del futuro duca con la portoghese isabella di braganza, viene descritto dal cibrario quale «uomo fantastico ed assoluto nelle sue voglie e di duro imperio». con gran dispendio di denaro e con grande gusto, aveva fatto edificare il palazzo che oggi si può sempre ammirare a torino, in via delle orfane. perché, dunque, la figlia del conte di druento si tolse la vita? la causa del gesto porta a barolo e al matrimonio che elena matilde aveva contratto con il marchese di castagnole, figlio del marchese falletti, nel 1695. le nozze furono celebrate nella parrocchia di san dalmazzo. le trame di un nero fato, in ogni caso, erano già in agguato sinistro. ricorda cibrario che «si diè un ballo cui intervenne il sovrano col meglio della corte». elena matilde sfoggiava al collo «una collana di perle di ricchissimo pregio, imprestatale, secondo l' usanza, da anna d' orléans, duchessa di savoia». mentre la festa era al culmine, e «più fervea la danza», lo scalone «con infausto augurio precipitò. niuno perì, ma lo spavento fu grande, si trovarono mezzi di fuga e in breve il palazzo fu sgombro». in «tanto scompiglio la collana di perle andò smarrita, ma si rinvenne all' indomani sotto le macerie della scala». l' incidente non sembrò turbare più di tanto i due sposi che «si piacquero, s' amarono», andando a vivere nel castello di barolo e mettendo al mondo due o tre figli. non avevano fatto i conti con "monsù di druent". non è noto quando accadde. certo è che, qualche tempo dopo lo sposalizio in san dalmazzo, il conte decise all' improvviso di rompere il matrimonio dei due, ordinando a elena matilde di lasciare il marchese e di ritornare da lui a torino. che cosa era successo? molto verosimilmente si trattò di una questione di denaro. a cagione delle notevoli spese sostenute per la costruzione e per l' arredo sontuoso del palazzo di contrada delle orfane, e per probabili ingenti debiti di gioco, ottavio si vide nell' impossibilità di versare la dote pattuita per le nozze ai falletti di barolo. non gli rimase, a quel punto, che una sola via d' uscita: quella di mandare a monte l' unione della figlia con il rampollo dell' antica casata di feudatari delle langhe. erano epoche in cui difficilmente si disobbediva al padre. elena matilde non si sottrasse alla legge del tempo, abbandonando il marchese e accettando con la lacerazione nel cuore di rinchiudersi nel palazzo torinese di famiglia. non resse al dolore. uccidendosi, però, rivendicò tragicamente, ma con fierezza, il diritto all' amore di una donna, di una moglie e di una madre. "monsù druent" visse ancora a lungo, tormentato dalla morte di elena matilde e forse dal suo fantasma in doppia apparizione, oltreché dissanguato da una interminabile causa legale con i falletti. si spense nel 1727, quando il ducato di savoia era ormai un regno. stravagante in vita, volle esserlo pure al momento del trapasso. aperto il suo testamento, si scoprì che ordinava una sepoltura senza alcuna pompa e senza onori. il suo cadavere avrebbe dovuto essere posto su una seggiola portatile, avvolta in un panno nero, e portato in una chiesa della città. il conte stabiliva poi che ogni anno, in occasione dell' anniversario della morte, venisse distribuita ai poveri e ai mendicanti, in un numero pari agli anni da lui vissuti sulla terra, un' elemosina di pane, di minestra, di vino e di un po' di denaro.     

massimo novelli

 

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