la diplomatica torta .....di casa carron di san tommaso
sono i siciliani e i campani a contendersi la paternità della ricetta della torta diplomatica, ma le sue vere origini non sono chiare.
probabilmente fu ideata per la prima volta nel quattrocento dal cuoco del duca di parma, come regalo a francesco sforza.
storicamente i diplomatici facevo parte di una classe aristocratica particolarmente agiata,
conoscevano le lingue, vivevano in ambienti internazionali e avevano fatto studi prestigiosi.
anche i carron di san tommaso appartenevano  a questa èlite.....
l’idea condivisa era che chi rappresentava il proprio paese all’estero dovesse avere particolari doti morali per gestire situazioni spesso non facili,
quindi un “diplomatico”.
la pasta sfoglia  viene intervallata da strati di pan di spagna bagnato nell'amarettoe da crema diplomatica,
mentre la superficie viene spolverata con generoso zucchero a velo
 

marsala florio & cioccolato grezzo alla pietra leone:

siesta nobile per  le dame  di casa carron di san tommaso e  le regine  d'italia con la nostalgia di  torino nel cuore

 
 
 
 
 

....La marchesa enrichetta carron di san tommaso briancon nata guasco di bisio prematuramente vedova,

  potendo contare sulle cospicue rendite delle proprietà e sulla sua dote, nel giugno del 1823 si impegnò nell’acquisto di un lussuoso fabbricato in piazza San Carlo, porta n. 6 ,

che confinava, un tempo, a nord con la dimora dei Turinetti di Priero  e a ovest raggiungeva la contrada della Provvidenza.

Il comm. Gabriele Cossato, proprietario dello stabile, fissò in duecentotrentamila lire il prezzo di vendita, ma concesse un pagamento dilazionato in tre rate.

Due anni dopo, il 7 gennaio 1825, Enrichetta estinse il debito e, abbandonato l’alloggio di via delle Orfanelle, dimora abituale  degli ultimi carron di san tommaso, 

arredò elegantemente la nuova dimora e vi si trasferì con il figlio.

Felice, provato dalla morte inattesa del genitore, appena compiuti i quattordici anni, durante una vacanza nel feudo di Sommariva Perno, luogo ricco per lui di memorie paterne, il 18 agosto 1824,

in poche righe stabilì che la madre sarebbe stata la sua erede universale.

Ma alla sua maggior età, il 19 marzo 1831 Enrichetta rinunciò all’eredità del marito in suo favore in cambio di un vitalizio.

Assecondandone gli interessi letterari e artistici VI accolse eccellenti storici e letterati:

furono da allora, tra gli altri, frequentatori abituali del suo salotto Luigi Cibrario

che aveva guidato Felice nello studio della paleografia, l’abate Costanzo Gazzera, archeologo e bibliografo,

Cesare Saluzzo di Monesiglio, storico, militare e precettore dei  figli del re Carlo Alberto,

e Domenico Casimiro Promis, numismatico di fama.

Soleva offrire agli ospiti il marsala proveniente dalla Sicilia che Felice le aveva fatto conoscere dopo il viaggio in quella terra del luglio 1832..

Nel 1842 Enrichetta intestò a Felice anche il palazzo di piazza San Carlo;

ma questo gli appartenne per un anno o poco più;

la morte tragica e improvvisa del FIglio, avvenuta il 23 gennaio 1843, la rese ricca di cose e vuota di affetti,

come ebbe a far scrivere sulla tomba di lui: “ figlio! oh, come mi sento sola”.

Fu Luigi Cibrario che la sostenne e, anche, la guidò nella faticosa impresa di pubblicare i lavori eruditi di Felice ancora inediti.

La loro amicizia si consolidò e durò per trentasei anni, come ebbe a dichiarare pubblicamente Cibrario e come dimostra la corrispondenza che intrattenne con lei.

Con la scomparsa di Felice il titolo di marchese di San Tommaso era passato a Nepomuceno, fratello di Alessandro.

Costui, scapolo, senatore dei Senati di Savoia e Piemonte, primo presidente e consigliere di stato, lo portò per poco più di quattro anni.

Si spense, infatti, il 24 settembre 1847, ma fin dall’anno precedente aveva redatto il suo testamento nel castello di Buttigliera Oriola dove viveva abitualmente.

Lasciando  erede universale “il figlioccio amatissimo e nipote” Gerardo.

Il titolo nobiliare trasmigrò, però, su Celso, ultimo figlio maschio di Francesco Teodoro.

Dovendo gestire proventi delle proprietà terriere lontane dalla città, Enrichetta decise di impegnare parte del reddito di cui disponeva  in un nuovo acquisto immobiliare

da destinarsi a locazioni che sarebbero state più facili da amministrare.

Perciò quando nel 1848 la marchesa Faustina Frichignono di Castellengo, vedova del marchese Vittorio Roero di Cortanze,

dama d’onore della regina Maria Teresa, mise in vendita un grandioso corpo di fabbrica, ampiamente ipotecato, ma che era attiguo a quello già in suo possesso,

questa si offrì di comperarlo pagandolo ben cinquecentomila lire.

La marchesa aveva necessità di una persona di fiducia che potesse seguire tutte le incombenze per la conduzione delle sue innumerevoli proprietà.

Fu l’amico Luigi Cibrario a proporle un giovane francese, proveniente da Joinville dove era nato nel 1823, che praticava la letteratura cimentandosi in opere teatrali.

Dal 1854 Jean Servais fu al servizio della marchesa come suo procuratore generale:

fedeltà e capacità nell’amministrazione del patrimonio, ma anche assoluta onestà nel maneggio delle cospicue rendite a solo vantaggio della “padrona”,

lo resero indispensabile e insostituibile e gli sarebbero valse la sua “ragguardevole” gratitudine.

Il Servais, per dar mostra delle sue capacità letterarie, le dedicò a sua volta una tragedia in cinque atti, in versi,

“Eleanore de Guienne”, stampata a Torino nel 1859.

Il Marchese gerardo, nominato erede universale delle briciole del grande patrimonio erediterà il palazzo nel 1870 alla morte di enrichetta

e lo venderà nel 1885  lire 350.000.

 
 

 silvano venchi iniziò l'attività di dolciere a 16 anni. a 20 investì tutti i risparmi per acquistare due calderoni di bronzo e cominciare le sperimentazioni culinarie nel suo appartamento. nel 1878 aprì il laboratorio in via degli artisti. agli inizi del 900 deve la sua fama soprattutto grazie alle "nougatine", a base di nocciole tritate e caramellate, ricoperte di cioccolato extra fondente. il laboratorio si estende a 300 metri quadrati. nel 1900 l’azienda cresce rapidamente e il laboratorio occupa una superficie di 3000 metri quadrati. nel 1960: venchi, unica e talmone si fondono in un’unica azienda: la talmone-venchi-unica che diventa una delle più grandi imprese d’italia fino allo scioglimento della società che porta ora la venchi ad essere una piccola realtà locale.

nel 1924 riccardo gualino (1879-1964) crea la società anonima unica,

che riunisce le fabbriche michele talmone, moriondo & gariglio, cioccolato bonatti e gallettine & dora biscuits.

l’unica si stabilisce nel quartiere di pozzo strada, dove nel 1921 viene edificato uno stabilimento esteso su 100.000 metri quadrati, diretto dal biellese rino colombino. ci lavorano 1.500 operai e 300 impiegati, con una produzione giornaliera di 40.000 kg di cioccolato, 15.000 kg di cacao, 20.000 kg di caramelle e confetti e 25.000 kg di biscotti. il complesso comprende un laboratorio chimico sperimentale, un ufficio postale e telegrafico, una centrale automatica telefonica, una rimessa con officina meccanica per la manutenzione di oltre 20 autocarri, un magazzino doganale per il cacao in cauzione (capace di contenere 15.000 sacchi), una palazzina di 12 alloggi per la famiglia del direttore dello stabilimento e di alcuni capi addetti ai servizi tecnici, un reparto cartonaggi (che produce 9.000 scatole al giorno) ed un reparto segheria (che produce 1.000 casse al giorno). un apparato di queste dimensioni riesce a raggiungere, giornalmente, livelli produttivi elevatissimi: 20.000 chilogrammi di caramelle, 25.000 di biscotti, 15.000 di cacao che, vista anche l’alta qualità della produzione, rendono "il consumo di massa e popolare". per rendere più immediata la diffusione dei prodotti a porzioni sempre più vaste di clientela, la u.n.i.c.a., oltre ad avere una rete di circa 300 negozi nei principali centri italiani, investe molte risorse anche nella pubblicità. artisti di grande spessore sono incaricati della realizzazione dei manifesti, lo stabilimento di corso francia 325 è visitato da illustri personalità (nel 1926 sarà il principe di piemonte). all’esposizione di tripoli del 1930 che la campagna pubblicitaria e commerciale della u.n.i.c.a. tocca il punto più alto. infatti la fiat costruisce una vettura-vetrina ambulante che attraversa il marocco, l’algeria, la tunisia e la libia per esporre i principali prodotti u.n.i.c.a. le difficoltà di gualino col regime fascista portano nel 1934 alla cessione così gerardo gobbi, unisce le due più grandi aziende dolciarie torinesi (la venchi e l’unica) sotto un unico marchio e dà vita alla venchi & unica, con un capitale sociale di 37.200.000 lire. gobbi, che assume contemporaneamente le cariche di presidente, amministratore delegato e direttore generale provvede a modernizzare lo stabilimento che occupa 3000 dipendenti. la venchi unica, che continua ad impiegare una forza lavoro prevalentemente femminile fornisce anche un servizio interno di assistenza infantile ai figli delle operaie. infatti il complesso di corso francia, è dotato di un ampio locale, chiamato il nido dei bambini, destinato ad accogliere i figli delle dipendenti (anche prima del 40° giorno di vita) non appena queste si trovano in grado di riprendere il lavoro dopo la gravidanza. i lavoratori della venchi unica partecipano, tra il 1943 e il 1945, a tutte le agitazioni di protesta contro la guerra e il regime: le giornate del marzo 1943, lo sciopero generale del marzo 1944 (quando la produzione si blocca dal 3 al 6 marzo) e quello del 18 aprile 1945 (che si conclude con un grande comizio tenuto davanti ai cancelli della fabbrica senza nessuna reazione fascista), fino ad arrivare al 25 aprile 1945, nel pieno dell’insurrezione, quando l’azienda, presidiata dagli operai, è teatro di una violenta sparatoria contro una divisione tedesca che, in ritirata, percorre corso francia. nel dopoguerra la venchi unica, riprende con successo la propria produzione (nel 1947 si assiste ad un nuovo aumento del capitale sociale portato alla ragguardevole cifra di 312.480.000 lire) che sarà definitivamente interrotta solo negli anni ’70, con il tracollo dell’azienda entrata nell’universo finanziario di michele sindona (1914-1986). lo stabilimento viene abbandonato nel 1978.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Notte di Natale  1713

Il Conte di Buttigliera Alta, Marchese Giuseppe Gaetano Giacinto Carron di San Tommaso

- Primo Segretario di Stato di Casa Savoia -

accompagna  

il  Duca  VittorioAmedeo II e la consorte Anna Maria d'Orleans , nipote di Luigi XIV

per l'incoronazione nella cattedrale di Palermo....

 
 
 
 
 
onde venisti?
quali a noi secoli sí mite e bella ti tramandarono?
fra i canti de' sacri poeti dove un giorno, o regina, ti vidi?
  ne le ardue ròcche, quando tingeasi a i latin soli la fulva e cerula germania, e cozzavan nel verso nuovo l'armi tra lampi d'amore?
  seguiano il cupo ritmo monotono trascolorando le bionde vergini, e al ciel co' neri umidi occhi impetravan mercé per la forza. 
o ver ne i brevi dí che l'italia fu tutta un maggio, che tutto il popolo era cavaliere?
il trionfo d'amor gía tra le case merlate  in su le piazze liete di candidi marmi, di fiori, di sole;
e 'o nuvola che in ombra d'amore trapassi,  l'alighieri cantava - sorridi!'.....
 
 
...come la bianca stella di venere ne l'april novo surge da' vertici de l'alpi,
ed il placido raggio su le nevi dorate frangendo  ride a la sola capanna povera, ride a le valli d'ubertà floride,
e a l'ombra de' pioppi risveglia li usignoli e i colloqui d'amore:  fulgida e bionda ne l'adamàntina luce del serto tu passi, e il popolo superbo di te si compiace
qual di figlia che vada a l'altare;  con un sorriso misto di lacrime la verginetta ti guarda, e trepida le braccia porgendo ti dice come a suora maggior 'margherita!'
e a te volando la strofe alcaica, nata ne' fieri tumulti libera, tre volte ti gira la chioma con la penna che sa le tempeste: 
e, salve, dice cantando, o inclita a cui le grazie corona cinsero, a cui sí soave favella la pietà ne la voce gentile!  salve,
o tu buona, sin che i fantasimi di raffaello ne' puri vesperi trasvolin d'italia e tra' lauri la canzon del petrarca sospiri!
josue' carducci 16- 17 novembre 1878
 

 

 
il verso è tutto.
nella imitazion della natura nessun istrumento d’arte è più vivo, agile, acuto, vario, multiforme, plastico, obediente, sensibile, fedele.
più compatto del marmo, più malleabile della cera, più sottile d’un fluido, più vibrante d’una corda, più luminoso d’una gemma, più fragrante d’un fiore, più tagliente d’una spada,
più flessibile d’un virgulto, più carezzevole d’un murmure, più terribile d’un tuono, il verso è tutto e può tutto.
può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l’indefinibile e dire l’ineffabile; può abbracciare l’illimitato e penetrare l’abisso;
può avere dimensioni d’eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l’oltramirabile;
può inebriare come un vino,
rapire come un’estasi; può nel tempo medesimo posseder il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo;
può, infine, raggiungere l’assoluto. un verso perfetto e assoluto, immutabile, immortale;
tiene in sé le parole con la coerenza d’un diamante; chiude il pensiero come in un cerchio preciso che nessuna forza mai riuscirà a rompere;
diviene indipendente da ogni legame da ogni dominio;
non appartiene più all’artefice, ma è di tutti e di nessuno, come lo spazio, come la luce, come le cose immanenti e perpetue.
un pensiero esattamente espresso in un verso perfetto è un pensiero che già esisteva preformato nella oscura profondità della lingua.
estratto dal poeta, séguita ad esistere nella conscienza degli uomini. maggior poeta è dunque colui che sa discoprire,
disviluppare, estrarre un maggior numero di codeste preformazioni ideali.
quando il poeta è prossimo alla scoperta d’uno di tali versi eterni,
                         è avvertito da un divino torrente di gioia che gli invade d’improvviso tutto l’essere”.                               
 GABRIELE D'ANNUNZIO
 

La bellezza di Lina è la cornice prevalente di una grande capacità di costruirsi come personaggio e come artista,
di offrirsi nel canto e nella recitazione senza risparmi, di mettersi alla prova in forme di espressioni diverse.
La sua fama, e alcuni matrimoni fiabeschi, le aprono la frequentazione delle élite internazionale.
Il suo salotto è rinomato, e principi e uomini potenti le rendono omaggio, leggende e realtà si intrecciano a lungo,
su amanti veri o presunti che la corteggiano in tutto il mondo.
D' Annunzio - che la definì «massima testimonianza di Venere in terra» - nella dedica di una copia del romanzo Il Piacere,
scrisse «A Lina Cavalieri, che ha saputo comporre con arte, una insolita armonia tra la bellezza del suo corpo e la passione del suo canto.
Un poeta riconoscente. Firmato Gabriele D'Annunzio».

C

Cosa avevano in comune Lina Cavalieri e Franca Florio?
L’indiscussa bellezza, un ritratto di Boldini e le attenzioni di Ignazio Florio.

Giovanni Boldini, uno degli interpreti più sensibili e fantasiosi della Belle Époque, conobbe i Florio all' Hotel Palace di Saint Moritz ("un lussuoso albergo, di vecchie tradizioni") e rimase subito incantato dalla bellezza e dalla personalità di donna Franca. Franca, a sua volta, sempre attenta ad ogni novità nel campo dell’arte, incuriosita dal modo di dipingere anticonvenzionale dell’artista, gli chiese di farle un ritratto. Boldini era il pittore dell'alta società, del lusso e della mondanità. Autore nel 1886 del ritratto icona di Giuseppe Verdi (raffigurato canuto, con cilindro e sciarpa bianca) dipinse moltissime donne celebri della sua epoca: duchesse, contesse e principesse. Alla bellezza delle donne che ritraeva faceva da contraltare l’aspetto tutt' altro che seducente dell’artista, paragonato da Aldo Palazzeschi a Toulouse-Lautrec. Adv Tuttavia, per esaudire la richiesta di donna Franca e realizzare la prima versione del ritratto, Boldini dovette aspettare un paio d’anni, sia a causa dei suoi precedenti impegni di lavoro sia a causa della gravidanza della nobildonna, che avrebbe dato presto alla luce la piccola Igiea. Il pittore giunse a Palermo solo nell’aprile del 1901 e fu ospite dei Florio all’Olivuzza. Durante il suo soggiorno a Palermo finì per ritrarre numerose dame nel suo album degli schizzi: Giulia Trabia, Giulia Trigona, Stefania Pajno e tante altre. Il Ritratto di donna Franca Florio è firmato e datato al 1924, fu però realizzato dall'autore nel 1901 e variamente ritoccato fino alla versione definitiva degli anni venti. Anche il ritratto della Cavalieri è del 1901 circa e anche Lina Cavalieri fu come donna Franca uno dei miti della Belle Époque, ma in pochi conoscono oggi la storia della diva italiana che D'Annunzio definì "la massima personificazione di Venere in Terra”. La sua leggendaria bellezza fu immortalata da fotografi e pittori del suo tempo e la sua immagine iconica si trova oggi su tanti oggetti d'arredamento del famoso designer Piero Fornasetti, che elesse la Cavalieri a proprio marchio di fabbrica. Lina Cavalieri aveva fatto il suo debutto in teatro a Roma a soli 15 anni ed era diventata subito molto popolare sia per la bella voce che per le sue graziose fattezze. A vent’anni aveva fatto il primo grande salto di qualità, giungendo a Parigi dove si era esibita alle Folies Bérgères. Raggiunta una grande popolarità, dal 1900 in poi si era dedicata alla lirica, riuscendo a calcare le scene dei maggiori teatri del mondo, insieme a figure leggendarie dell’opera lirica come Enrico Caruso e Francesco Tamagno. Proprio in questo periodo, all'apice della sua bellezza, aveva intrecciato una relazione con Ignazio Florio, che, come racconta Anna Pomar in “Franca Florio” aveva finito proprio per perdere la testa per la bellissima cantante.
Nell’Aprile del 1901 non solo Giovanni Boldini, anche Lina Cavalieri era arrivata a Palermo per interpretare Mimì
(la romantica protagonista della Boheme di Puccini) al teatro dell’Opera e (come si mormorava nei salotti) per insidiare la tranquillità familiare di casa Florio.
“La Cavalieri era considerata una delle cinque donne più belle del mondo: una rosa nella quale era compresa anche Franca”. Era stato proprio Ignazio Florio, ormai folle d’amore per la bellissima Lina, ad avere fatto in modo che ella potesse esibirsi in tutto il suo splendore al Teatro Massimo, il più grande edificio teatrale lirico d'Italia, uno dei più grandi d'Europa, la cui realizzazione era stata fortemente voluta proprio da Ignazio. Ignazio Florio non era mai stato purtroppo un marito fedele e Franca, finiva per soffrire molto per le debolezze del marito. “L’attenzione che il marito dedicava alle donne era uno dei crucci principali di Franca Florio” scrive la Pomar. “Ignazio, come del resto la maggior parte dei mariti del tempo considerava le avventure galanti una sorta di irrinunciabile punto d’onore. Non riteneva che potessero incrinare i suoi rapporti con la moglie, cui riservava nella sua vita il posto di maggior rispetto". Le attenzioni che il marito dedicava alla cantante non potevano certo passare inosservate agli occhi di Franca: centinaia di fiori giungevano ogni giorno in teatro e spesso facevano solo da cornice a preziosi gioielli, veri e propri pegni d’amore. Tutta la città non parlava d’altro. “Sembrava proprio che Ignazio volesse fare sul serio e non sortivano alcun effetto le burrascose liti con Franca, nel chiuso delle mura domestiche”. Dopo due settimane di prove era giunta finalmente la sera del debutto della Cavalieri. Si racconta che Ignazio, avesse assoldato nel loggione una nutrita claque per applaudire Lina durante la sua esibizione. Informata della cosa per tempo, donna Franca aveva preso le sue contromisure, incaricando un'altra agguerrita (e ben più numerosa) schiera di spettatori di fischiare la rivale: Lina Cavalieri si trovò così in balia del pubblico che, a fronte di qualche consenso, manifestava un indiscusso dissenso. Fu la sottile vendetta di donna Franca Florio, che composta e sorridente, nel suo palco, applaudiva e chiedeva innocentemente: “Perché la fischiano, povera cara?” Lina Cavalieri, compresa la sconfitta, scappò letteralmente da Palermo, con grande sollievo di Franca e si ritirò nella villa vicino Firenze avuta in dono dallo stesso Florio. Che ne fu della Cavalieri? Nel 1914, dopo aver affascinato re e principi di tutto il mondo, Lina si sposò nel 1914, a ormai quarant’anni, con il collega francese Lucien Muratore, che le fece davvero abbandonare la scena teatrale, per dedicarsi al cinema muto e in tutto interpretò otto film. Nel 1921 abbandonò definitivamente il mondo dell’arte, tornando a Parigi, dove aprì un salone di bellezza e diventando testimonial della Palmolive. Divorziò nel 1927 per sposare Giovanni Campari, ereditiere dell’omonima azienda di bevande. Dopo una vita sfavillante Lina morì il 9 Marzo del 1944 sotto le bombe alleate, tra la polvere e le macerie della villa che aveva arredato con i cimeli di una carriera irripetibile.
Marina Oliveri per Balarm

 

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